
L’informatica va avanti a suon di mode e meme che non dicono nulla ma che fanno tanto “figo”. La tendenza viene da lontano e negli ultimi decenni sono passati i motori di ricerca, poi il cloud e ora la cosa chic che fa tanto snob si chiama AI o Artificial Intelligence perché IA o Intelligenza Artificiale è “burino” (come dicono a Roma) e tanto sovranista se la mettiamo nel politico.
Pertanto, cerchiamo di mettere in chiaro i principi base che si fondano sulla conoscenza del significato delle parole (etimologia, che veniva insegnata già in prima elementare. Ai miei tempi, quando la maestra ci dava i compiti a casa: “cerca nel dizionario il significato delle seguenti parole …” e lo dovevi riportare nella tua rubrica che ti aveva fatto fare sempre come compito). Allora vediamo il significato di Intelligenza. Chi mi sa dire cosa è senza andare a cercare un suggerimento? Vi aiuto: l’intelligenza è quella cosa che si ha o non si ha, in genere allocata nella scatola cranica e che ha bisogno di un cervello per manifestarsi in maniera concreta attraverso le capacità logiche di correlazione e le abilità strumentali di metterla in atto. Se non è chiaro, lo dico esplicitamente: l’Intelligenza non si crea, non si infonde, non si sviluppa e non si alleva, al più la misurano con i QI (Quoziente d’Intelligenza: un metodo di misurazione che oggi sembra poco noto).O si ha o non si ha: la capacità di correlare il pensiero e di sviluppare nuovo pensiero non è basata solo sui dati ma è legata a vari fattori, compresa l’etica e la morale che ognuno di noi ha in maniera individuale. Questi fattori sono eterei e molti filosofi hanno cercato di determinarli secondo schemi prefissati, ma la diatriba è ancora aperta.
Tali schemi coinvolgono anche “credo” non avulsi da principi religiosi, sociali ecc. Quindi se si vuole dare una definizione secca di Intelligenza cito quanto riporta il Vocabolario della Treccani: “intelligènza (ant. intelligènzia) s. f. [dal latino intelligentia, der. di intelli gĕre «intendere»]. – 1. a. Complesso di facoltà psichiche e mentali che con sentono all’uomo di pensare, comprendere o spiegare i fatti o le azioni, ela borare modelli astratti della realtà, intendere e farsi intendere dagli altri, giudicare, e lo rendono insieme capace di adattarsi a situazioni nuove e di modificare la situazione stessa quando questa presenta ostacoli all’adatta mento; propria dell’uomo, in cui si sviluppa gradualmente a partire dall’in fanzia e in cui è accompagnata dalla consapevolezza e dall’autoconsapevo lezza, è riconosciuta anche, entro certi limiti (memoria associativa, capacità di reagire a stimoli interni ed esterni, di comunicare in modo anche com plesso, ecc.), agli animali, spec. mammiferi (per es., scimmie antropomorfe, cetacei, canidi): uomo d’i. normale, media, grande, straordinaria, o di poca, scarsa, mediocre i.; i. acuta, pronta, viva, debole, tarda, ottusa; edu care, coltivare l’i.; l’acuirsi, l’affievolirsi dell’i.; l’abuso degli alcolici offu sca l’i.; per il quoziente d’i., v. quoziente, n. 2 d. Nella terminologia filoso fica, il termine equivale sostanzialmente a intelletto. ...”
Come si può facilmente evincere la definizione non spiega cosa è l’intelligenza, ma descrive una serie di elementi e parametri che aiutano a identificarla, a riconoscerla, sinanche a qualificarla (acuta, viva ecc.), ma non “cosa è” in modo da rendere facilmente o immediatamente riconoscibile l’oggetto “intelligenza” con un solo sguardo. Da qui sorge la prima e ingenua domanda: se l’Intelligenza non si sa “cosa è” ed ha queste caratteristiche così peculiari, è credibile che se ne possa creare una che in quanto intelligenza risponda a queste stesse caratteristiche? perché a mio avviso, di primo acchito penso che qualunque cosa non risponda a questa definizione sicuramente è qualche altra cosa ma non “intelligenza”. Esaminiamo la parola Artificiale: non dovrebbe avere bisogno di spiegazioni ma ho scoperto che al giorno d’oggi è meglio che non dia nulla per scontato. Per cui chiedo sempre al mio Vocabolario preferito della Treccani cosa ne pensa: “artificiale: L'aggettivo … contrapposto a naturale, nell'espressione in cia scuna cosa, naturale ed artificiale, e vale " fatto dall'arte " umana, [...] " prodotto dall'uomo ", sicché tutta l'espressione indica l'insieme delle cose terrene ...” ossia artificiale è tutto quanto prodotto dall’uomo e di conseguenza “intelligenza artificiale” è senza ombra di dubbio qualcosa prodotta dall’uomo. Spero che questo resti un punto fondamentale ben fisso nella vostra mente per non farvi sviare da se e da ma che tenderanno a stravolgere, condizionare e (ri)orientare il vostro pensiero. La IA trova questa definizione nella Enciclopedia della Treccani: “intelligènza artificiale (IA) Disciplina che studia se e in che modo si pos sano riprodurre i processi mentali più complessi mediante l'uso di un com puter. Tale ricerca si sviluppa secondo due percorsi complementari: da un lato l'i. artificiale cerca di avvicinare il funzionamento dei computer alle ca pacità dell'intelligenza umana, dall'altro usa le simulazioni informatiche per fare ipotesi sui meccanismi utilizzati dalla mente umana.” Prima sorpresa: IA NON è Chatgpt, Grok, Azure, Bing e chi più ne ha più ne metta. Divertitevi a digitare su un qualsiasi motore di ricerca (oggi ribattezzato quasi dappertutto come AI) queste due domande: AI quante sono AI quali sono e godetevi le risposte. A voi il giudizio. Torniamo a un punto fermo: L’IA è una disciplina di studio, ossia una branca della ricerca scientifica di natura prettamente matematica ma non solo perché non può prescindere da aspetti metafisici, etici, morali, religiosi ecc. che sono in grado di influenzare “i processi mentali” di qualsiasi persona. Non solo i processi mentali sono complessi, ma la stessa disciplina lo è in quanto i parametri e i criteri che intervengono nello studio sono molteplici e di diversa natura. L’IA studia SE e IN CHE MODO si possono riprodurre i processi mentali con l’uso di un computer, dai più semplici ai più complessi: i più semplici già li conosciamo dagli anni della programmazione attraverso i famosi diagrammi di flusso (roba del preistorico della Informatica) ora si ambisce ai più complessi. Ossia? La sempre maggiore necessità di avere applicazioni che rispondessero in maniera semplice a domande complesse ha pungolato la tecnologia e gli sviluppatori a creare strumenti sempre più complessi. Per capire come si arriva alla IA non si possono non ripercorrere le tappe principali della storia della informatica. Tornando indietro nel tempo, l’ambizione di passare da metodologie di programmazione abbastanza semplici a qualcosa di più elaborato comincia a manifestarsi con la comparsa dei primi data base relazionali (RDBM: furono i primi prodotti atti a creare legami predefiniti tra dati e loro relazioni/significati) e si afferma una metodologia di analisi chiamata ERA (Entity Relationship Analysis che si basa su ER model e ER diagram): semplice nella filosofia base ma fallita nella sostanza perché chi avrebbe dovuto applicarla, sia analisti che programmatori, erano totalmente ignoranti su cosa sia, come riconoscere e come catalogare una relazione, su come si intersecano le relazioni tra dati differenti con diversa gradazione di importanza, e soprattutto non erano capaci di definire cosa era una dato. Ho visto diagrammi ER durante la mia esperienza lavorativa che facevano inorridire: autentici minestroni di dati che venivano legati tra loro da spaghetti relazionali che nulla chiarivano sia nel disegno del data base che nelle funzioni che avrebbero dovuto legare i dati per trarne informazioni sensate ed esaustive. Per fare un esempio vi suggerisco una parola: ancora. Ora provate a schematizzarla e definirne gli attributi: una rosa (dato) è bianca, profumata, etc. (attributi). Tanto per cominciare: dove mettete l’accento di ancora? Àncora o ancóra? Parlando o leggendo il contesto è chiaro per un umano, ora provate a spiegarlo al computer per addestrarlo a riconoscere le differenze. Diamo per assodato che sia àncora: quale? Il freno della barca e quello utilizzato dagli stili nella composizione di testi e immagini? E così via. Provate a creare le regole perché il computer riconosca in un testo o in un video la differenza di significato in maniera certa e univocamente definita e cominciate ad avere una vaga idea delle difficoltà che si affrontano nel trasmettere agli strumenti la capacità di acquisire “conoscenza”. La “ambiguità” dei dati e dei loro significati è la mina vacante di qualsiasi sistema. Lo vedete ancora ad oggi, anche con Wikipedia che spesso segnala la necessità di “disambiguare” quanto richiesto perché non in grado di rispondere in maniera univoca.
Roma, 21 Luglio 2025
D.ssa Federica Silvestrini Responsabile del Dipartimento I.A. e Cyber Security





